sabato 21 settembre 2013

Il Pentamerone: la prima vera raccolta di fiabe.

Buonasera a tutti, eccomi di nuovo qui :)

Stasera vorrei parlarvi di un'opera che ho scoperto da poco (e non con poche difficoltà, dato che è un testo quasi introvabile) ma che mi ha lasciato, incredibilmente affascinata e al tempo stesso un sconvolta.
Parlo del Pentamerone.
Opera postuma di Giambattista Basile, edita tra il 1634 e il 1636 a Napoli, raccoglie 50 fiabe divise in 5 giorni. Questa idea della divisione delle giornate, l'ho trovata un po' simile al Decameron di Boccacio, anche se l'incipit è totalmente diverso.
Infatti narra la storia della principessa Zoza e della sua ricerca dell'amore a seguito di una maledizione, ricevuta da una strega per la sua cattiveria nel ridere del male di un ragazzo.
Insomma la potremmo definire, una fiaba nella fiaba.
Ed è proprio mentre cerca di conquistare questo amore, che dieci narratrici, raccontano queste novelle, per molti versi simili a quelle odierne.
Molte di loro infatti, seppur crude e violente, raccolgono l'essenza di fiabe che oggi tutti conoscono.
Questa sera porto l'esempio di una di queste ma, se sarà di vostro gradimento ne parleremo ancora. 
Il titolo è SOLE, LUNA E TALIA e potremmo definirla come la prima, vera versione scritta (prima era solo un racconto orale) della nostra BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO.


 Sole, Luna e Talia
 
C'era una volta un gran signore, che quando gli nacque una figlia le diede nome Talia e chiamò tutti i sapienti e gli indovini del reame perché predicessero il suo destino. Loro studiarono le stelle e si consultarono a lungo, poi dissero:
"Talia sarà bella e piena di grazie, ma rischia di morire a causa di una lisca di lino".
Sperando di evitare la disgrazia, quel signore comandò che in casa sua nessuno tenesse o portasse più lino, e nemmeno canapa, né qualunque cosa gli somigliasse.
Ma quando Talia era già una fanciulla, un giorno che stava alla finestra vide passare una vecchia che filava; e a lei che non aveva mai visto una conocchia né un fuso piacque moltissimo come rotolava. Le venne un desiderio tanto grande di vederlo da vicino che invitò la vecchia a salire su da lei, e presa in mano la rocca provò a tirare il filo, ma una lisca di lino le si infilò sotto l'unghia e nello stesso istante cadde a terra morta, mentre la vecchia vedendo cos'era successo prese le scale e andò via di corsa.
Il povero padre di fronte a questa disgrazia pianse a calde lacrime e si sentì inondato dalla tristezza. Allora lasciò la bellissima Talia nel suo palazzo di campagna seduta su una poltrona di velluto, sotto un baldacchino di broccato, poi chiuse tutte le porte e abbandonò per sempre quel palazzo, sperando di dimenticare la disgrazia e di superare il terribile dolore che gli aveva causato.
Dopo tanto tempo passò un re che andava a caccia, e gli sfuggì il falcone che volò nel palazzo da una finestra aperta, e non tornava più al suo richiamo. Allora il re fece bussare al portone, credendo che ci abitasse qualcuno, ma nessuno rispondeva, così si fece portare una scala da vendemmiatore e volle andare a vedere cosa c'era in quel palazzo.
Girò per tutte le stanze e rimase pieno di meraviglia perché non vedeva anima viva, finalmente aprì la porta della camera dov'era Talia sotto l'incantesimo, e credendo che fosse addormentata la chiamò, ma lei non rispondeva, allora provò a rianimare la bellissima fanciulla pensando che si fosse sentita male, ma inutilmente; infine, infiammato dalle sue bellezze, la prese fra le braccia e l'adagiò sul letto, la baciò e le diede tutto il suo amore. Poi lasciandola là distesa fece ritorno al suo palazzo, e per un bel po' di tempo non ripensò più a quello che era successo.
Talia dopo nove mesi partorì due creature, un maschio e una femmina, splendenti di bellezza come oro e gemme, che furono curati da due fate apparse nel palazzo, che li attaccarono ai seni della mamma.
Un giorno che i gemelli volevano poppare, non trovando il capezzolo presero in bocca il dito di Talia, e tanto succhiarono che fecero uscire la lisca di lino.
Allora a Talia parve di svegliarsi da un lunghissimo sonno, poi vide accanto a sé quelle due bellissime creature, tutta contenta diede loro il suo latte, e li teneva cari come la sua stessa vita.
Talia non capiva cosa le fosse successo, si trovava tutta sola in quel palazzo con i suoi gemelli, mentre le servivano da mangiare senza che potesse vedere chi glielo portava, quando il re si ricordò della bella addormentata.
Tornò a caccia, e arrivato davanti al palazzo entrò per vederla, e siccome la trovò risvegliata con quei due bambolottini così belli e gioiosi, fu felice come non era mai stato prima.
Raccontò a Talia chi era e come erano andate le cose, così si conobbero e si vollero subito bene, e passarono insieme un po' di giorni. Poi la lasciò sola, promettendole che sarebbe tornato per portarla con sé, e andò nel suo reame, dove nominava di continuo Talia e i suoi figli, tanto che mentre mangiava aveva sulle labbra Talia, Sole e Luna, così aveva chiamato i bambini, e non si svegliava né si addormentava se non pronunciando il loro nome.
La regina, vedendo che era stato tanto tempo lontano per la caccia, aveva avuto qualche sospetto, e sentendo che non faceva altro che chiamare Talia, Sole e Luna, divenne furiosa per la gelosia. Chiamò il suo segretario e gli disse:
"Stammi a sentire, bello mio, non ti conviene rifiutare quello che ti chiedo, perché se mi dici di chi è innamorato il re ti faccio arricchire, e se me lo nascondi ti faccio ammazzare".
Il segretario da una parte era impaurito, dall'altra avido di ricchezza e, dimenticandosi di aver mai sentito parlare di onore, di giustizia o di fedeltà al re, le raccontò tutto quello che voleva.
Allora la regina gli ordinò di andare da Talia a dirle che il re voleva i bambini a palazzo.
Talia ne fu contenta e mandò Sole e Luna col segretario, che li mise nelle mani della regina, e lei, che era più velenosa di una vipera, comandò al cuoco di scannarli e cucinarli in varie salse per farli mangiare al re.
Ma il cuoco per fortuna era di cuore tenero, e vedendo quei due bei bambolottini ne ebbe pietà, così, dopo averli affidati a sua moglie perché ne avesse cura, preparò al loro posto due capretti secondo cento ricette.
Quando arrivò il re, la regina tutta soddisfatta fece servire in tavola, e mentre il re mangiava di gusto, esclamando:
"Oh, com'è buono questo! Che squisitezza quest'altro!", lei ogni volta gli diceva:
"Mangia, che mangi la carne tua!".
Il re a un certo si rannuvolò e le disse: "Lo so che mangio la mia carne, perché io sono il re ed è tutta roba mia, mentre di tuo qui non c'è nulla";
poi si alzò e andò a fare una girata in campagna per farsi passare la rabbia.
Ma alla regina ancora non bastava quello che aveva fatto, e così ordinò al segretario di andare a chiamare Talia con la scusa che il re l'aspettava.
Talia contenta si preparò e partì subito, piena di desiderio di vedere il re, e non sapeva che andava in bocca alla sua nemica.
Appena arrivò davanti alla regina, questa con una smorfia crudele e con voce perfida e beffarda le disse:
"Ah! Ah! Ben arrivata signorina sgualdrinella! Sei tu allora la cagnetta che ha abbindolato il re, tu sei la smorfiosa che voleva tenerlo tutto per sé! E' da te madamigella porcellina che passa tanto tempo! Sei arrivata al tuo tribunale, perché ora io ti darò la punizione che ti meriti!".
Talia cominciò a chiedere scusa, dicendo che non era colpa sua, che il re aveva preso le sue proprietà mentre lei era incantata, ma la regina non volle ascoltarla.
Accese il grande rogo che aveva fatto preparare nel cortile del palazzo e diede ordine che ce la mettessero a bruciare.
Vedendo che le cose si mettevano male, Talia si inginocchiò davanti alla regina e le disse:
"Ti prego, dammi almeno il tempo di levarmi questi bei vestiti che indosso".
Non per pietà, ma perché le piacque l'idea di prendersi quegli abiti ricamati d'oro e di perle, la regina le rispose:
"E va bene, spogliati".
Allora Talia cominciò a spogliarsi lentamente, e ad ogni parte del suo abito che si toglieva gettava un grido, così, quando si era già levata il mantello, la giacchina e la gonnella, al momento di levarsi la sottoveste gettò l'ultimo strillo, e la presero e la stavano mettendo sul rogo dove la regina voleva trasformarla in un mucchietto di cenere, quando accorse il re, e trovandosi di fronte a quella scena ordinò che nessuno si muovesse. Volle sapere cos'era successo, e quando chiese dei suoi bambini, la regina crudele gli disse:
"A questo non metterai rimedio, perché te li ho fatti mangiare e ti sono anche piaciuti tanto".
Il re credette d'impazzire, e piangeva e gridava: "Poveri agnellini miei, allora sono stato io il vostro lupo mannaro! Com'è possibile che non abbia riconosciuto le vostre ciccine che ho tanto accarezzato? E tu, perfida strega rinnegata, come hai potuto essere più feroce delle bestie selvatiche? Ma io non ti concederò il tempo di chiedere perdono per i tuoi peccati!".
E diede ordine che la regina fosse bruciata sul rogo che aveva fatto preparare per Talia, con lei fece bruciare anche il segretario suo complice e comandò che bruciassero anche il cuoco che aveva tagliuzzato e cucinato i suoi bambini. Ma il cuoco si buttò ai suoi piedi e disse:
"Signore, sarebbe un rogo la ricompensa per il servizio che ti ho reso? Così mi fai festa, mentre arrostisco legato a un palo? E' questa la buona posizione che mi fai avere, in gratella con la regina? Mi aspettavo qualcosa di meglio per aver salvato le tue creature disobbedendo a quel cuore di pietra che voleva fartele mangiare!"
A sentire queste parole il re rimase attonito, e pensava che fosse un sogno, perché non riusciva a credere a quello che gli dicevano le sue orecchie. Poi si rivolse al cuoco e gli disse:
"Se è vero che hai salvato i miei bambini, sta sicuro che ti farò smettere di girare lo spiedo, e ti darò il potere di girare il mio cuore, perché voglio accontentarti in tutti i tuoi desideri, e ti darò un premio tanto grande che sarai l'uomo più felice del mondo!".
Mentre il re diceva queste parole, la moglie del cuoco che aveva visto suo marito in pericolo portò Sole e Luna, e il re li abbracciò insieme a Talia, e piangendo di gioia non riusciva a saziarsi di baciarli e accarezzarli.
Dopo aver assegnato una ricca rendita al cuoco e averlo nominato primo gentiluomo del palazzo, il re sposò Talia, che visse sempre felice e contenta col marito e i figli, dopo aver sperimentato che anche dormendo si può aver fortuna.


Come potete leggere, vi sono molte similitudini tra Talia e Aurora.
Ma la fiaba è più cupa, a tratti perfino volgare. Una violenza ricevuta, che poi collima con un "e vissero felici e contenti" effettivamente è un po' insensato per i nostri tempi.
Ma appunto, ogni opera letteraria va studiata dall'ottica dell'epoca in cui fu scritta (anche il Decameron contiene scene molto forti, ma oggi è ricordato come un'opera letteraria importantissima) e nel '600, a differenza di quanto molte persone credano, vi erano pochi scrupoli a narrare eventi simili, anche a dei bambini.
Certo, personalmente non leggerei mai una storia del genere a dei bambini, ma è innegabile che sia un'opera vasta ed importante (anche se meno conosciuta di quella dei Grimm) che parte da uno stile simile alle novelle medioevali, per arrivare alle vere e proprie fiabe popolari.
Insomma per chi ama le fiabe, è un ottimo studio e un'opera che ci fa riscoprire la natura di quelle favole che raccontiamo e che ci sono state raccontate nell'infanzia.
E poi è curioso (perlomeno personalmente) confrontare come siano cambiati gli usi e i costumi letterari nelle fiabe e nel fantasy.
E voi cosa ne pensate?
Aspetto i vostri commenti :)
Alla prossima


                                                           Aurora
 
 
 
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